Dall’alba dell’Illuminismo siamo stati sedotti dall’idea di essere guidati unicamente da ragione e logica. Ci piace immaginare di operare in modo obiettivo, credendo che, dati alla mano, il nostro intelletto possa elaborare e risolvere qualsiasi enigma.
Questa convinzione, sebbene gratificante per l’ego, non riflette la realtà. Siamo, come ogni essere umano fin dalla notte dei tempi immersi in un mare di pregiudizi ed emozioni.
La recente scomparsa di Daniel Kahneman (lo scorso 27 marzo), Premio Nobel nel 2001 e pioniere dell’economia comportamentale, ci ha ricordato proprio questo. Kahneman, che ha impartito le sue lezioni a Princeton, è divenuto noto al grande pubblico principalmente per il suo libro “Thinking, Fast and Slow” (“Pensieri lenti e veloci” – Mondadori), scritto in collaborazione con Jason Zweig
Il loro lavoro ci introduce ai due sistemi che governano il nostro pensiero: il Sistema 1, veloce e intuitivo, responsabile delle nostre reazioni automatiche e involontarie, e il Sistema 2, più lento, logico e riflessivo, che prende il sopravvento per compiti che richiedono attenzione e autocontrollo.
Questa dualità nel nostro processo cognitivo ci permette di sviluppare abilità complesse e di affrontare sfide intellettuali; tuttavia, è anche una fonte di errori sistematici o bias, soprattutto quando il Sistema 1 cede a stereotipi e il Sistema 2 non interviene per correggere.
In sostanza i nostri pregiudizi e la nostra storia personale complicano moltissimo il processo di interazione tra i due sistemi cognitivi.
[DANIEL KAHNEMAN intervistato da Alec Ellison al Global Investor Summit 2019 – Eng]
Kahneman ha portato alla luce ciò che intuitivamente sapevamo sul comportamento umano nelle istituzioni, ma che temevamo di ammettere: per quanto possiamo sentirci sicuri nelle nostre decisioni aziendali quotidiane, poche di esse sono realmente basate sulla logica.
“Siamo inclini a sopravvalutare quanto comprendiamo del mondo e a sottovalutare il ruolo del caso negli eventi”.
Riflettendo sugli stili di leadership, diventa evidente che ciò che realmente guida i manager non è soltanto la razionalità, ma un intreccio di pensiero emotivo e deliberato.
Una delle raccomandazioni chiave di Kahneman per migliorare il processo decisionale è quella di ritardare l’intuizione fino a quando non si è raccolta tutta l’informazione necessaria, in modo da evitare giudizi prematuri e potenzialmente errati.
Sottolinea inoltre l’importanza di essere consapevoli delle condizioni sotto le quali l’intuizione può essere affidabile, ovvero quando si dispone di molta esperienza e si opera in un contesto sufficientemente regolare.
“Possiamo essere ciechi di fronte all’ovvio, e siamo anche ciechi di fronte alla nostra cecità”.
Kahneman nel suo libro discute anche l’ottimismo, considerato uno dei bias cognitivi più significativi. Pur riconoscendo che l’ottimismo può portare al fallimento, nota come sia anche il motore di grandi successi e innovazioni, sottolineando l’importanza di prendere “rischi irragionevoli” per ottenere successi straordinari.
La formazione a questo punto emerge come uno strumento cruciale per orientare i leader nell’arte (o scienza?) del “Decision Making”, verso una gestione decisionale più bilanciata, educandoli a distinguere i momenti in cui affidarsi all’intuizione da quelli che richiedono un’analisi più approfondita e considerata.
Maggiore è la consapevolezza più il processo decisionale si bilancia efficacemente tra il pensiero emotivo e quello deliberativo. In definitiva, il percorso verso una leadership efficace è segnato dalla capacità di navigare con destrezza tra questi due poli del pensiero umano, abbracciando pienamente la complessità e l’umanità che caratterizzano ogni decisione aziendale.
Ecco, dunque, la nostra navigazione: un percorso intriso sia di promesse che di insidie.
La buona notizia è che è la nostra umanità a guidarci, non un qualche algoritmo salvifico. La cattiva notizia è, ancora una volta, che è la nostra umanità a dettare le regole, senza alcuna bacchetta magica a risolvere i problemi per noi.
In altre parole, spetta a noi districarci, una decisione emotiva e complessa dopo l’altra